Referendum 9 giugno oltre il quorum mancato: ripartire dai bisogni e dalla mobilitazione dal basso

Con un’affluenza che si attesta intorno al 30%, purtroppo i cinque quesiti referendari su lavoro e cittadinanza non hanno raggiunto il quorum necessario, e non sono pertanto validi.  Come abbiamo sempre evidenziato, però, non è questo l’unico dato di questa campagna referendaria su cui soffermarsi. Non possiamo non sottolineare, come abbiamo fatto nelle ultime settimane,…

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Con un’affluenza che si attesta intorno al 30%, purtroppo i cinque quesiti referendari su lavoro e cittadinanza non hanno raggiunto il quorum necessario, e non sono pertanto validi. 

Come abbiamo sempre evidenziato, però, non è questo l’unico dato di questa campagna referendaria su cui soffermarsi.

Non possiamo non sottolineare, come abbiamo fatto nelle ultime settimane, la responsabilità politica delle forze di governo, della maggioranza ma della politica partitica in generale, nell’enorme fascia di astensionismo che va a riconfermarsi come preoccupante trend antidemocratico nel nostro Paese: di questi referendum si è parlato poco e male, a partire dai luoghi della politica istituzionale, che non hanno colto la sfida lanciata dalle forze politiche che hanno promosso questa campagna referendaria rifiutando ogni confronto, spargendo disinformazione, narrazioni falsate e un invito alla non-partecipazione anche da parte di figure tra le più alte cariche dello Stato.

Un dato particolarmente significativo emerge dalle prime informazioni sul quinto quesito, quello relativo alla cittadinanza. Circa il 30% dei “no” è il risultato di anni di retorica razzista, che è alla radice delle problematiche di accesso alla cittadinanza discusse negli ultimi mesi di campagna referendaria. Questa retorica si ritrova nell’agenda di governo in materia di “remigrazione”, marginalizzazione e discriminazione delle soggettività migranti e razzializzate, nonché nell’aberrante galassia della detenzione e dei CPR.

È necessaria inoltre una riflessione rispetto alle responsabilità del mondo del sociale, a partire dai soggetti promotori dei referendum e delle realtà che come noi hanno portato avanti la campagna. 

Se è vero che quei milioni di persone che sono state toccate dalla campagna referendaria andando poi al voto sono un punto da cui ripartire, è chiaro come questo risultato debba mettere in discussione gli strumenti e le modalità di chi muove i suoi passi nella politica di questo paese per ricostruire un grande cambiamento  dal basso: serve restituire spazi di protagonismo, decisionalità, partecipazione alle persone, sui temi toccati dai referendum e da molti altri, in modo da poter portare avanti non solo singole battaglie ma un intero modello di società, costruito a partire dai bisogni delle persone e dalle loro voci. 

In questo senso è fondamentale guardare a come l’affluenza sia più alta nei grandi centri (oltre il 27% di media) e diminuisca drasticamente nelle aree interne e periferiche del Paese, in particolare nel Mezzogiorno, dove in molte province sono rimaste sotto il 10%: un dato che dimostra quanto le carenze strutturali del nostro Paese e del nostro sistema non fanno che alimentare un clima di disillusione e allontanamento dalla politica. 

Infine, per quanto limitato, guardiamo positivamente all’affluenza dei seggi per student3, lavorator3, pazienti fuorisede: l’89% di coloro che hanno fatto richiesta (quasi 67.5mila persone, in netto aumento rispetto alle 24mila delle europee) è andata a votare, restituendo da un lato l’importanza di questo strumento di partecipazione e la necessità di una sua implementazione; dall’altra, un importante segnale da parte dell3 giovani e dell3 precari3 di questo Paese.

Come giovani generazioni ci siamo messe da subito in campo per questa battaglia referendaria, in quanto occasione di prendere parola rispetto alle nostre esigenze, alle nostre condizioni di vita, al nostro futuro.

Non sarà questo risultato a fermare la lotta per il nostro diritto a restare nei nostri territori, ad avere condizioni lavorative stabili e dignitose e le opportunità e mezzi per costruirci un futuro migliore.

Ripartiremo dalle milioni di persone che hanno votato a questo referendum e dai bisogni materiali di tutt3. Continueremo ad attivarci e mobilitarci, a creare spazi collettivi che possano costruire un’alternativa sempre più forte e concreta.

Non è un Paese per giovani… ma può diventarlo. Riprendiamoci tutto, riprendiamoci il futuro!

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